La poesia è lo sguardo di una sconosciuta che incrocia il tuo e sparisce nella folla, la poesia è un fazzoletto che ti scappa di mano mentre saluti un una nave che va verso l’orizzonte, un canto: la poesia, è una donna che non potrai mai dire è mia.
Lo confesso, ho cercato la poesia tante volte ma solo dopo, molto dopo ho capito che deve essere Lei a venirti a cercare e se non viene.... tu ne hai voglia di navigare tra le parole, di scavare sulla neve bianca di un foglio, di scalare montagne di rime, di strisciare in strade sterrate, di correre nelle autostrade della lirica o di volare sopra ali che vorrebbero portarti in alto. Non viene, è altrove, dove? Chi può dirlo.
No, la poesia è in un altro luogo, si nasconde timida e impacciata dietro silenzi lunghissimi, strade vuote, case vuote, letti vuoti, dietro ombre, dentro attese, delusioni, felicità. A volte spunta dove meno te l’aspetti confusa tra presenze apparenti, tra assenze che urlano, con nomi diversi che i versi non riescono a definire.
A volte le parole sono chiodi conficcati in un foglio, solo un abbaglio, un lampo di luce sulla croce dei nostri giorni, come naufraghi aggrappati alla scialuppa di una penna di salvataggio, soldati raggomitolati sulla trincea in attesa di un assalto perché la poesia, la poesia è una bandiera da sventolare e portare oltre la linea nemica della nostra esistenza, guerra di cui non sappiamo fare senza e per la quale cadere in nome della nostra memoria, delle nostre divise che ci vede anime divise e che lei potrebbe riunire e tenere insieme.
Perché in fondo la poesia è un comandante che ci vuole bene e ci dice di andare avanti, senza fermarsi, comunque avanti, senza rimpianti.
Mpl
mercoledì 30 ottobre 2024
Le voci, quasi una litania, si sentono da lontano, attraversano il paese come un vento che improvvisamente ha trovato una sua voce e sembra chiamare a raccolta tutte le anime. Si annunciano con quelle parole “ A S’murti murti” ripetute in continuazione e riempiono sas carreras attraversano i vicoli oscuri e le piazze. Fuori, tra le prime lame del buio jagananos grandi e piccoli attraversano il paese, i bianco delle tuniche risalta nell’oscurità. Piccole campanelle ne scandiscono i passi, celebrano un rito che ha lasciato l’altare della chiesa crearne uno in ogni angolo. Spesso un animale paziente li accompagna, porta su dorso la stessa bertula che i contadini hanno usato da sempre per trasportare i prodotti del loro lavoro e che ora accompagnano una minuta processione scandita da quelle parole che si srotolano come un rosario.
Dietro le porte socchiuse, canisteddos pieni di castagne e noci, di papabassinos, rughittas di pane, qualche dolce cucinato qualche ora prima ma anche qualche pezzo di formaggio sono pronti a riempire i sacchetti che questi postulanti delle anime si aspettano di veder gonfiarsi. Doni semplici che offrono senza chiedere, pro su bene de sos mortos, pro sas animeddas...doni che il giorno dopo verranno divisi tra i poveri del paese.
Intanto nelle case, la luce di un camino illumina la stanza: è la candela perfetta per una celebrazione silenziosa che non ha bisogno di parole ne di altre inutili luci. Non ci sono posate accanto ai piatti, tantomeno coltelli perché nella morte ogni vendetta si annulla, non si mettono, non ce è bisogno, le anime quando in questa notte tornano a casa non hanno bisogno di questi oggetti per nutrirsi o per difendersi tantomeno di offendere. Ma il vino non deve mancare, quale padre può rinunciarvi? E il nonno che lo sorseggiava insieme ad una presa di trinciato forte? Ma anche dell’acqua nella brocca che una madre portava a tavola sempre fresca? E’ questo insieme ad una tovaglia immacolata, quella delle grandi occasioni, a rendere perfetto un tavolo e una famiglia.
Ma i piatti devono essere pieni, colmi di pietanze scelte perché si sa cosa una madre, un padre, una nonna o un parente amava trovare sul tavolo dal quale si sono allontanati e che sul quale possono, almeno una volta all’anno, accomodarsi per sentirsi a casa. Non bisogna chiudere le porte, meglio lasciare aperti gli armadi, tanto loro possono attraversarli, ma è un gesto di pace e di amistade.
Noi torniamo nelle nostre stanze e lasciamo che siano loro, stanotte a riempirla come una volta, quella cucina che è stata la loro.
mpl
mercoledì 3 aprile 2024
Amico mio
Come farò a scrivere le prossime parole sapendo che non le ascolterai con le orecchie il cuore e l’anima con cui nelle mille sere hai ascoltato le mie e le nostre parole seduti intorno a un tavolo che tu sapevi trasformare in qualcosa di unico. E come farò a guardare strade e incroci ad assaporare i sapori del tramonto e la luminosità dell’estate sapendo che dovremo condividerle col silenzio della tua assenza: come farò, come faremo a illuderci e crederci che in qualche modo ti arriveranno per accompagnarti verso un campo sconosciuto dove ne sono sicuro, saprai trovare la tua strada senza perderti e magari raccogliere funghi meravigliosi e altre delizie da offrire agli ospiti. Incontrarti è stato un dono, una fortuna che capita poche volte nella vita. Incontro che si è trasformata un rapporto che si è allargato nel tempo fino a diventare qualcosa di molto più vicino all’essere fratelli e non solo amici. Vedersi, incontrarsi, condividere l’affetto e la stima reciproca non aveva bisogno di ricorrenze particolari, bastava una telefonata e un giorno qualunque diventava speciale perché non si condivideva solo del cibo quanto un affetto che nutriva di ben altre sostanze. Un dono che ci scambiava ogni volta mentre nel frattempo i figli crescevano con la voglia comune di vederli crescere e scambiarsi la felicità di condividere i momenti più belli e importanti della loro vita insieme alla nostra.
La musica di Verdi adesso riempie la stanza. Non è una scelta casuale. Ascolto le parti del coro dove la tua voce di basso, si fonde con tenori soprani baritoni e contralti e diventa ora forza e potenza ora pianto e dolore, ma non la spengo, anzi alzo il volume perché so che tra queste voci perfette c’è anche la tua, lo so che c’è la tua perché c’ero quella sera che mi hai chiesto di registrare Macbeth e quando ti ho dato i files eri così contento, soddisfatto, onorato di averne fatto parte che non vedevi l’ora di montarle tutte insieme e conservarle. Sapevo con quanto cura avevi studiato la tua parte, con quel dedizione e passione ti ci eri cimentato tu che avevi con la musica un rapporto speciale che hanno in pochi.
Cicci, o Pietro come molti ti conoscevano e col quale ti presentavi. I ricordi sono così vicini che affollano la mia testa e non saprei cosa scegliere, ma cosa posso dire che i tuoi amici, i conoscenti non sappiano. Della tua generosità, della tua disponibilità del tuo non esserti mai tirato indietro in nessuna occasione, del tuo smisurato essere amico andando oltre la stessa amicizia che tu trasformavi in un dono che a volte, noi eravamo, anzi, e parlo per me,non ero capace di coglierla nella sua naturale ed unica semplicità.
La croce hai portato in questi ultimi giorni di quaresima ieri ha anticipato il tuo calvario, l’hai portata illudendoti, come era nella tua natura, che in qualche modo, con la tua naturale balentia, ne saresti venuto fuori, come le tante altre volte che la malattia ha sfidato il tuo corpo sconfiggendola con una forza di volontà che aveva dell’eroismo. Qualche giorno prima insieme a cena come non fosse successo niente. Parlavamo ridevamo anche se in certi momenti scuotevi la testa ma sorridevi non riuscendo a nascondere tristezza e malinconia sapendo che di quella sera sarebbe rimasto il profumo , un sapore, un ricordo che avrebbe continuato a riscaldare l’anima per ancora tanti e tanti anni.
Voglio chiudere questa mia piccola lettera con le parole di un brano che amavi e che nell’ultima esibizione, forse per quel male che non sapevi di avere e che già aveva iniziato ad aggredirti subdolo e nascosto non sei riuscito a cantare. Prendile, ascoltale, adesso in questo posto dove la musica la chiudiamo nel silenzio delle nostre anime. Tutti noi riuniti intorno a te a cantarle, amico, fratello per sempre, tutti in coro, in un solo coro, per te
Va', pensiero,sull'ali dorate,
Va', ti posa sui clivi,sui colli,
ove olezzano tepide e molli
l'aure dolci del suolo natal!
Pietro Camillo Ledda...semplicemente Cicci.
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