mercoledì 3 aprile 2024
Amico mio
Come farò a scrivere le prossime parole sapendo che non le ascolterai con le orecchie il cuore e l’anima con cui nelle mille sere hai ascoltato le mie e le nostre parole seduti intorno a un tavolo che tu sapevi trasformare in qualcosa di unico. E come farò a guardare strade e incroci ad assaporare i sapori del tramonto e la luminosità dell’estate sapendo che dovremo condividerle col silenzio della tua assenza: come farò, come faremo a illuderci e crederci che in qualche modo ti arriveranno per accompagnarti verso un campo sconosciuto dove ne sono sicuro, saprai trovare la tua strada senza perderti e magari raccogliere funghi meravigliosi e altre delizie da offrire agli ospiti. Incontrarti è stato un dono, una fortuna che capita poche volte nella vita. Incontro che si è trasformata un rapporto che si è allargato nel tempo fino a diventare qualcosa di molto più vicino all’essere fratelli e non solo amici. Vedersi, incontrarsi, condividere l’affetto e la stima reciproca non aveva bisogno di ricorrenze particolari, bastava una telefonata e un giorno qualunque diventava speciale perché non si condivideva solo del cibo quanto un affetto che nutriva di ben altre sostanze. Un dono che ci scambiava ogni volta mentre nel frattempo i figli crescevano con la voglia comune di vederli crescere e scambiarsi la felicità di condividere i momenti più belli e importanti della loro vita insieme alla nostra.
La musica di Verdi adesso riempie la stanza. Non è una scelta casuale. Ascolto le parti del coro dove la tua voce di basso, si fonde con tenori soprani baritoni e contralti e diventa ora forza e potenza ora pianto e dolore, ma non la spengo, anzi alzo il volume perché so che tra queste voci perfette c’è anche la tua, lo so che c’è la tua perché c’ero quella sera che mi hai chiesto di registrare Macbeth e quando ti ho dato i files eri così contento, soddisfatto, onorato di averne fatto parte che non vedevi l’ora di montarle tutte insieme e conservarle. Sapevo con quanto cura avevi studiato la tua parte, con quel dedizione e passione ti ci eri cimentato tu che avevi con la musica un rapporto speciale che hanno in pochi.
Cicci, o Pietro come molti ti conoscevano e col quale ti presentavi. I ricordi sono così vicini che affollano la mia testa e non saprei cosa scegliere, ma cosa posso dire che i tuoi amici, i conoscenti non sappiano. Della tua generosità, della tua disponibilità del tuo non esserti mai tirato indietro in nessuna occasione, del tuo smisurato essere amico andando oltre la stessa amicizia che tu trasformavi in un dono che a volte, noi eravamo, anzi, e parlo per me,non ero capace di coglierla nella sua naturale ed unica semplicità.
La croce hai portato in questi ultimi giorni di quaresima ieri ha anticipato il tuo calvario, l’hai portata illudendoti, come era nella tua natura, che in qualche modo, con la tua naturale balentia, ne saresti venuto fuori, come le tante altre volte che la malattia ha sfidato il tuo corpo sconfiggendola con una forza di volontà che aveva dell’eroismo. Qualche giorno prima insieme a cena come non fosse successo niente. Parlavamo ridevamo anche se in certi momenti scuotevi la testa ma sorridevi non riuscendo a nascondere tristezza e malinconia sapendo che di quella sera sarebbe rimasto il profumo , un sapore, un ricordo che avrebbe continuato a riscaldare l’anima per ancora tanti e tanti anni.
Voglio chiudere questa mia piccola lettera con le parole di un brano che amavi e che nell’ultima esibizione, forse per quel male che non sapevi di avere e che già aveva iniziato ad aggredirti subdolo e nascosto non sei riuscito a cantare. Prendile, ascoltale, adesso in questo posto dove la musica la chiudiamo nel silenzio delle nostre anime. Tutti noi riuniti intorno a te a cantarle, amico, fratello per sempre, tutti in coro, in un solo coro, per te
Va', pensiero,sull'ali dorate,
Va', ti posa sui clivi,sui colli,
ove olezzano tepide e molli
l'aure dolci del suolo natal!
Pietro Camillo Ledda...semplicemente Cicci.
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