Brigitte
Ad un
certo punto ( la memoria ha ben altro a cui pensare per potersi ricordare anche
la stagione o il mese) la mia vita incrociò quella di una donna che cercava
l'amore. Era venuta dalla città per cercarlo: una turista forse, una pittrice probabilmente
perché spesso, la vedevo fissare un punto imprecisato, come se un cavalletto
invisibile, posto vicino a lei, raccogliesse i suoi pensieri e li trasformasse
in segni.
Sapevo
che molta gente veniva al mare per cercare l'amore e l'amore, specie d'estate è
facile da trovare su una spiaggia dove il caldo ti spoglia, sul lungomare dove
il rumore del mare aiuta a riempire certi silenzi o in un locale fumoso dove la
musica è come una mano invisibile che unisce tutte le persone.
Per
lei era ancora piu' facile in quanto tutta la sua persona, dai piedi ai
capelli, sembravano disegnati sulla scia di un preciso desiderio di perfezione.
Lei
cercava l'amore e questo, in un posto piccolo come quello, non poteva passare
inosservato. A volte i ragazzi si andavano a sedere vicino alla Torre.
Sembravano merci esposte. Lei vi passava davanti diverse volte, guardandoli,
soppesandoli e mentalmente dando a loro un prezzo. Ma non sceglieva, non
prendeva la mano di nessuno di loro e i ragazzi, invece di risentirsi, la guardavano
con lo stesso sguardo carico di desiderio, in cuor loro pensando, che prima o
poi lei avrebbe scelto.
Era il
periodo dell'amore. Lei sembrava saperlo, mentre camminava davanti a loro, li
superava, arrivava alla fine del molo e lì, dopo aver aspettato un attimo in
piedi, si sedeva sulle reti e aspettava.
Poi
ricominciava.
Venne
da me un giorno. Gunther bussò alla mia porta con un sorriso così radioso che
mai ebbi modo di rivedergli sul viso.
"C'è
qualcuno che ti cerca", disse agitando le mani e disegnando una silouette
femminile.
- Devo
dire che ci sei o mi faccio passare per te?
Non si
era accorto che lei era alle sue spalle e guardava con occhi trasparenti,
dentro la stanza.
Sapevo
di lei ma ancora non ci eravamo incontrati, l'avevo solo osservata da lontano,
senza staccarla particolarmente dalle altre persone. Ma al mare, una persona
sola è nuda, lo sguardo la isola immediatamente dalle altre.
- Sei
tu quello che aspetta il mare?
La
parole erano arrivate dalla porta e controluce non potevo vedere la bocca di
donna che le aveva pronunciate.
Non
sapevo da chi avesse potuto apprendere della mia attesa.
- Ti
manda lui?
- Non
sono obbligata a rispondere.
Stava
ferma sull'uscio, il suo corpo mandava un'ombra lunga che riempiva la stanza e
sembrava galleggiare sul pavimento.
-
Perché non entri?
-
Perché ancora non me lo hai chiesto.
-
Entra allora.
- Sei
sicuro di volerlo?
A
volte quando si è soli in mezzo al mare è il sole sembra cadere sulla terra, i
marinai perdono il senso d'orientamento e rimangono per minuti a guardare la
rotonda distesa che li circonda. nessuno in quel momento ricorda il nord o il
sud, nessuno ricorda di avere una casa. E' come se all'improvviso,
quell'essenza che sta in ognuno di noi si liquefasse e il corpo, libero dalla
carne e dalle ossa, scorresse sulla barca e diventasse acqua. E' l'ora in cui
molti rinunziano alla vita e si lasciano cadere tra le onde offrendosi ai
pesci.
Era
quello che provavo mentre lei entrava nella stanza.
- Sei
tu quello che aspetta il mare, non mi sono sbagliata.
- Si,
sono proprio io, ti manda lui?
- No,
il mare non ha bisogno di messaggeri, sa annunziarsi da solo. Ho saputo di te,
volevo conoscerti.
- Mi
chiamerà allora?
- Si,
lo farà. Il mare mantiene sempre le sue promesse.
Cantava.
La sua voce seguiva una musica ben precisa: prima bassa, quasi inaudibile e poi
sempre più forte e quella melodia, quelle parole risuonano nella stanza che le
rispondeva come un coro, un eco che ripeteva all'infinito:
"
Qui ci vanno le parole di una canzone"
Ma non
si fermava, non ancora, nonostante Gunther avesse preparato il te e, bussando
con discrezione, faceva ingresso nella stanza con un tocco di finta piaggeria.
Lei lo guardava, ferma sull'uscio senza smettere di cantare. Poi, lentamente,
quasi volesse uscire di scena, si allontanava e non la seguivo, sapevo che non
dovevo, aspettavo che la sua ombra la raggiungesse e si annullasse nel vuoto
che lasciava.
- Devi
trovare il modo di farla, non devi permettere che vada via.
Gunther
mentre versava il te, continuava a parlare. Poi, rivolto verso di lei, batteva
le mani. Lo so anche senza guardare il suo volto, che lei sorrideva per
quell'applauso che sembrava rallentare i suoi passi.
Lei
prese a tornare di tanto in tanto, precisa come una marea e costante come gli
alisei. Lei era luna mentre ferma all'uscio domandava: "Ti ha
chiamato?", attraendo verso se le mie dimensioni, allungandole,
ingrossandole ed insieme riossigenandole permettendo al mio corpo di andare
oltre la fatica snervante dell'attesa.
- Ti
ha chiamato?
Aspettava
la mia risposta mentre io guardavo la sua ombra, una piccola danza che sembrava
sollevare il pavimento e portarlo con se, verso l'alto.
Pensavo
di chiederle di sposarmi, ero curioso di immaginare la mia vita con una donna,
addormentarmi e svegliarmi con lei, dividere il cibo, raccontare le mie storie
e chissà che non sarei riuscito a risalire sopra una barca: il mare è più dolce
quando sei di qualcuno che ti aspetta. Il mare amante come lo chiamava babbo,
ti contende alla tua sposa, si insinua nella tua famiglia e ti pretende tutto
per se. Vincerlo era allontanarsi e ritornare lasciando il desiderio e la
malinconia perfettamente in bilico.
Ma
nonostante tutto il tempo che mi dedicava non c'è n'era abbastanza per arrivare
a chiedere qualcosa. Così mi lasciavo andare e risalivo la sua ombra. Col tempo
ne vidi gli occhi e la bocca ed ebbi anche il tempo di fare delle passeggiate
con lei. Ma non le chiedevo niente, chi appartiene al mare sa che esistono solo
le risposte che non nascono dalle domande ma solo dalla voglia di dire
qualcosa.
Mi
convinsi che il mare avrebbe parlato dalle sua labbra e un giorno, quasi
leggesse i miei pensieri, semplicemente, disse: "Sarà lui a parlarti,
quando sarà il momento, non avrà bisogno d'altro".
Certe
volte andavano sul promontorio dal quale si vedeva un po' di Francia e si stava
lì a chiederci se non era il caso di salire su un battello e andare a farsi
qualche pastis con i legionari.
- Mi
piacerebbe cantare per loro, come dice il Poeta, vestita solo del fumo di una sigaretta,
una Gauoloise, magari, dal fumo aspro e pungente.
Forse
lo diceva per provocarmi, per indurmi a chiederle quello che sicuramente mi
avrebbe dato. Davanti a noi le pietre dalla scogliera salivano fino ai monti
bianchissime e levigate, io vi sentivo arrancare il suo cuore e stavo a
guardarla, mentre sconsolata, seguiva con lo sguardo, la scia dei battelli che
lasciavano il porto e puntavano verso quelle falesie bianche, così vicine
eppure disperatamente lontane.
- In
fondo tu ed io siamo uguali.
- Non
è proprio così.
-
Perché? Tu cerchi il mare ed io l'amore, non è la stessa cosa?
- No.
Entrambi cerchiamo una cosa, è vero, ma il mare, come l'amore, ha un suo volto
ben preciso. Se io o tu, fossimo quello che veramente stiamo cercando l'avresti
capito subito e l'avrei capito anch'io.
E
continuava a guardare rapita, quei tramonti di ruggine che ossidavano lo
sguardo e sbriciolavano le sbarre che aveva davanti eppure non faceva quel
piccolo passo che le avrebbe permesso di uscire da quella cella di desiderio
dove si era reclusa.
Io la
chiamavo Brigitte e lei sorrideva volgendo la testa verso il mare. Di profilo,
con i capelli biondi chiusi nel foulard colorato, con gli occhiali scuri che
nascondevano i suoi occhi alla luce, alla luce troppo chiara per i suoi ancora più
del sole, sembrava proprio francese e quasi avresti detto di averla già vista
da qualche parte, forse in un film, sicuramente in un film, di quelli in bianco
e nero e che pure ti ricordi a colori.
-
Brigitte - le dicevo - sei sicura di non chiamarti veramente Brigitte?
- Non
ricordo piu' il mio nome, ma se è così che mi vuoi chiamare, sarò Brigitte, mon
cher, tu es vraiment foul!, ma non sono
un'attrice, sono una cantante, una povera cantante da piano bar: le attrici,
quelle vere, sono un'altra cosa.
-
Canta per me allora.
- Non
sono abituata a cantare di giorno, so cantare solo di notte, la luce mi fa
stonare.
- A
casa hai cantato l'altro giorno.
- Lì
c'è la notte.
- Cosa
vuol dire.
- Che
nella tua stanza c'è la notte, mi piace la tua stanza, la tua casa così lunare,
notturna dove la luce del giorno non arriva.
Allora
mi offriva il braccio e aspettava che io lo prendessi. Lo facevo e lei si
lasciava andare, poggiando la testa sulla mia spalla, sincronizzando il suo
passo con mio e da lontano, chi ci guardava passeggiare sul molo avrebbe
pensato, e a ragione, che si era proprio una bella coppia.
Ma le
mattine, quando bussava leggermente alla mia porta e senza aspettare la mia
risposta entrava in casa, aveva gli occhi gonfi come uno che avesse pianto e io
abbassavo lo sguardo per non violare quel suo segreto dolore che pure mi
offriva, senza timore, senza vergogna, come sapesse che comunque, quegli occhi
gonfi e troppo chiari per il sole, li avrei amati, comunque amati.
E
allora, lentamente, si spogliava dei vestiti e andava a sedersi sul divano
davanti alla finestra.
-
Dipingimi con le parole. Diceva, guardando verso la finestra e offrendosi nuda
ai tasti dell'Olivetti, come se un pennello battesse sul foglio, gocce di
parole che la ritraevano, in quella posizione che avrebbe fatto impazzire
qualunque pittore.
La
ritraevo con i grandi seni che contraendosi andavano su, aprendo la corolla dei
capezzoli appena scuri, la ritraevo lasciando sul foglio righe bianche che
ricordavano appena la sua pelle impalpabile come talco che la vestiva, come un
vestito da sposa, e si lasciava andare come una sposa, vergine sopra lenzuola
che aspettano, la fine di ogni innocenza.
Nuda,
davanti al ritmo dei tasti della macchina da scrivere che lasciavano sul
foglio, le parole del desiderio che cresceva e che riempiva, quel romanzo che
lei diventava, minuto dopo minuto, ora dopo ora, fino al pomeriggio, quando le
ombre la rivestivano e lei si alzava e diceva.
-
Adesso, posso appartenerti? Adesso ti ho dato qualcosa di mio, voglio che tu mi
dia del tuo. Voglio di te, quello che non ti appartiene.
Mi
offriva i suoi fianchi.
E il
suo corpo nudo abituato all'aria, aveva la confidenza elastica di chi non ha
piu' paura. Chi avesse spiato da una feritoia della stanza e guardato il suo
corpo spalmarsi sul mio, ci avrebbe chiamato amanti ed eravamo proprio degli
amanti, degli splendidi amanti che non si negavano nulla.
Nulla.
Poi,
prima di andare via, indugiava sulla porta e scuoteva la testa.
- Un
giorno voglio vedere il mio ritratto. Me lo farai vedere vero?
- Si,
ma tu devi promettermi che canterai per me, solo per me.
Rispondevo,
guardando la pila dei fogli accanto alla 32,
-
Sembrano lenzuola. Il giorno che mi sposo le porterò con me e saranno il mio
solo corredo. Canterò per te, va bene?
Dalla
camera accanto arrivava della musica, era Gunther che alzava apposta il volume
del suo magnetofono per impedirsi di ascoltarci.
"
E' una bella musica" diceva, ascoltando rapita quella melodia che Gunther
aveva raccolto chissà dove. " Andiamo a ballare una di queste sere, mi
piacerebbe ballare questa melodia".
Richiudeva
la porta dietro di se e io non la seguivo con lo sguardo, non la spiavo sparire
in quelle strade che l'imbrunire trasformava in pesci esposti al sole per
seccare, non la seguivo perché continuavo a dipingerla, a dipingerla a memoria.
Mpl
per BJ, c'est facile à retenir, difficile à oublier
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